Nell’omelia della messa mattutina di Casa Santa Marta, il Papa si è soffermato con i fedeli sulla figura evangelica di Zaccheo, un esattore delle tasse dell’epoca di Gesù che frodava i cittadini.
“Pensate – ha spiegato ai presenti Francesco – a un dirigente che sia importante, e anche che sia un corrotto, un capo dei dirigenti. Zaccheo era capo e sale su un albero per guardare una processione nella quale c’era Gesù. Pensate questo: che ridicolo! Ma non ha avuto vergogna”.
Per il Papa “i cristiani “della comodità e quelli dell’apparenza avevano dimenticato cosa fosse la gioia; questo corrotto, invece, la riceve subito e il cuore cambia, si converte. E così Zaccheo promette di restituire quattro volte quanto ha rubato”.
Un invito evangelico che Francesco attualizza rivolgendolo ai truffatori dei nostri giorni.
Nella sua meditazione Bergoglio ha puntato anche il dito contro i tanti “cristiani di cuore, di anima, ma che poi non sono cristiani di tasche. È qui che arriva subito la conversione in modo autentico”.
Il Papa ha ricordato che esistono “tre chiamate alla conversione che lo stesso Gesù fa ai tiepidi, a quelli della comodità, a quelli dell’apparenza, a quelli che si credono ricchi ma sono poveri, non hanno niente, sono morti”.
L’invito di Papa Francesco è a pensare “molto seriamente alla nostra conversione, perché possiamo andare avanti nel cammino della nostra vita cristiana”.
Da qui l’esame di coscienza suggerito dal Papa: “Io sono di questi cristiani delle apparenze? Sono vivo dentro, ho una vita spirituale? Sento lo Spirito Santo, ascolto lo Spirito Santo, vado avanti? Ma, se tutto appare bene, non ho niente da rimproverarmi: ho una buona famiglia, la gente non sparla di me, ho tutto il necessario, sono sposato in Chiesa, sono ‘in grazia di Dio’, sono tranquillo. Le apparenze! I cristiani di apparenza sono morti! Ma, – ha concluso Papa Francesco – cercare qualcosa di vivo dentro e con la memoria e la vigilanza, rinvigorire questo perché vada avanti. Convertirsi: dalle apparenze alla realtà. Dal tepore al fervore”.
di Francesco Antonio Grana